Scienze

- di Aurora Campi-

Scoperte nel cervello le "mappe del tempo"

La Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste ha descritto per la prima volta il meccanismo che sta alla base della nostra percezione del trascorrere di minuti, giorni e anni: le "mappe del tempo"

A generarle è l'area che si chiama "corteccia supplementare motoria", che viene attivata da stimoli di diversa durata: le zone anteriori per le durate più brevi, le parti posteriori per i periodi più lunghi. "Per la prima volta si è capito, nell'uomo, come il nostro cervello decodifica il passare del tempo".

Finora era noto che la corteccia supplementare motoria fosse coinvolta nella percezione del tempo, ma non si aveva idea di come funzionasse.

Per arrivare a questo risultato sono stati monitorati con la risonanza magnetica due gruppi di volontari sani, che dovevano selezionare alcune immagini in successione sullo schermo di un computer per diverse durate, e dire quale delle due immagini era stata presentata per più tempo. I ricercatori vogliono ora capire qual è il tempo che hanno mappato, se cioè quello fisico della durata degli stimoli sullo schermo, o quello percepito dal volontario, e anche se la mappa è innata, o è il frutto dell'esperienza e dell'educazione.

E se sbagliassero?Recentemente, sulla rivista Pnas è stata messa in dubbio la validità di molte ricerche che si sono avvalse della risonanza magnetica funzionale, e una parte dei dati utilizzati nello studio appena pubblicato su  Nature arriva proprio da questo metodo di indagine.I dettagli tecnici dell'approccio utilizzato saranno pubblicati a breve, ma la grande accuratezza del loro lavoro dovrebbe aver messo la mappatura al riparo da errori.

La prima barriera corallina italiana!

Una nuova barriera corallina al largo delle coste di Monopoli, in Puglia. E' l'eccezionale scoperta fatta durante un'esplorazione dei ricercatori del dipartimento di Biologia dell'Università di Bari,a oltre due miglia sotto la superficie dell'Adriatico, fra i 40 e i 55 metri di profondità, si trova una fitta foresta di coralli come quelle che popolano i fondali delle Maldive o di Sharm el Sheikh, nel Mar Rosso.

Una vera e propria distesa di coralli finora rimasta celata all'uomo. Sulla base delle ultime osservazioni e della recente mappatura del fondo, i ricercatori hanno stimato che la nuova barriera scoperta abbia una lunghezza notevole, seppure non in modo uniforme, pari ad almeno 135 km: in direzione del capoluogo pugliese, da un lato, e fino a Otranto, dall'altro. L'indizio della sua esistenza lo si aveva da sempre,ogni volta che i pescatori di palamiti e tramagli, nel ritirare l'attrezzatura da pesca, portavano a bordo corallo vivo e spugne simili a quelle di memoria equatoriale.

Se il modello sembra identico a quello di marca equatoriale, a rendere unica la barriera corallina pugliese sarebbero almeno due peculiarità. La prima: la profondità e l'altro è l'habitat e i suoi colori.

 

Nel caso delle barriere delle Maldive o australiane, i processi di simbiosi tra le madrepore (animali marini che costituiscono i banchi corallini) sono facilitati dalla luce, mentre la nostra barriera vive in penombra e quindi le madrepore costituiscono queste strutture imponenti di carbonato di calcio in assenza di alghe". Ecco, dunque, i colori più "soffusi, dati da spugne policrome con tonalità che vanno dall'arancione al rosso, fino al viola.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

 

18/03/2019

Piante emettitrici di CO2

Nuove misurazioni satellitari dei cambiamenti nella densità forestale dimostrano come una delle poche risposte naturali contro il global warming si stia indebolendo: la degradazione delle foreste tropicali sta trasformando i polmoni del Pianeta da serbatoi a emettitori di CO2.

Il dato allarmante è stato rilevato dai satelliti Nasa: l'Orbiting Carbon Observatory ha tracciato i movimenti di anidride carbonica nell'atmosfera terrestre negli anni 2015-16:nel corso di essi il fenomeno climatico di El Niño - che spinge verso est correnti calde quando si scaldano le acque del Pacifico occidentale - ha assunto un impatto record.

Ad abbassare le capacità di assorbimento della CO2 da parte dell'ente piante, sarebbero state le condizioni eccezionalmente secche indotte dal Niño e anzi si sarebbe determinato uno "sbilancio" a causa della vegetazione che, secca, va in decomposizione rilasciando il gas.

Inoltre secondo lo studio pubblicato su Science, queste aree verdi rilasciano, ora, più anidride carbonica di quella che catturano. La ricerca è stata eseguita osservando 12 anni (dal 2003 al 2014) di foto satellitari, immagini di telerilevamento laser e misurazioni sul campo della copertura forestale tropicale di America, Asia e Africa. Si è registrato l'aumento di emissioni dalle piante maggiore degli ultimi 2000 anni, pari a +50% dal 2011. Questo quantitativo è stato generato dalle tre maggiori aree forestali tropicali di Amazzonia, Africa centrale e Indonesia, considerate i "polmoni verdi" della Terra.

Infatti è qui che si verifica la situazione peggiore, dove si registra la maggiore riduzione di densità forestale (quasi il 60% del totale delle aree tropicali mondiali). Complessivamente, la degradazione delle foreste dovuta alla presenza umana è responsabile del 68,9% delle fughe di C02.

Una ragione in più per impegnarsi nella tutela delle foreste, per provare a incontrare gli obiettivi della COP21.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

 

 

8/03/2019

 

 

 

 

 

Il polo nord magnetico si sposta più velocemente che in passato

Il Nord magnetico è il punto verso il quale puntano le bussole ed è fondamentale per usi militari e civili, per la navigazione marittima e aerea, e adesso anche per le applicazioni degli smartphone( come i sistemi di geolocalizzazione e mappatura che utilizziamo online o via app che sono tarati proprio su questo elemento).

Inoltre esso circonda e protegge il pianeta, per esempio dai raggi cosmici e dalle radiazioni letali provenienti dal Sole.

Gli scienziati hanno notato per la prima volta questo cambiamento lo scorso anno, grazie ai dati satellitari, i quali hanno dimostrato che il polo era andato oltre l'area prevista. Lo slittamento del Polo Nord sarebbe causato da processi che avvengono nelle profondità delle crosta terrestre del pianeta, nel suo nucleo esterno liquido, che è fatto di ferro liquido e nichel. Questo, mentre scorre, crea una corrente elettronica e quella che a sua volta crea un campo magnetico che va alla deriva con il nucleo caldo che cola.

Ci sono diverse teorie sulle motivazioni per i quali il movimento del polo è aumentato negli ultimi anni - da circa 6 miglia all'anno tra il 1900 e il 1980 fino a uno spostamento compreso tra i 24 e le 31 miglia all'anno negli ultimi due decenni. Alcuni scienziati pensano che una corrente a getto di liquido fuso stia spingendo il Polo Nord, mentre altri hanno suggerito che i poli magnetici meridionale e settentrionale si stiano invertendo.

 

Con tutto ciò, nessuno pensa che sia in atto qualcosa di catastrofico all'interno del pianeta: si tratta solo di anomalie che, seppure difficili da spiegare, rientrano nell'enorme complessità del meccanismo che causa il campo magnetico. 

 

                                                                                                          di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

26/02/2019

Inquinamento e piogge

In alcuni casi l’inquinamento sembra determinare una diminuzione delle precipitazioni, in altri un aumento. Una risposta a quest’apparente incongruenza l’hanno data un gruppo di ricercatori, fra i quali Sandro Fuzzi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna.

“Le particelle disperse in atmosfera”, spiega Sandro Fuzzi, “sono necessarie per la formazione delle nubi in quanto servono come ‘nuclei di condensazione’ delle goccioline che costituiscono le nubi stesse. Sono le caratteristiche di queste particelle atmosferiche a influenzare la struttura delle nubi e la loro capacità o meno di dare luogo a precipitazioni”, spiega ancora. In sostanza, la sempre più massiccia immissione nell’atmosfera di particolato dovuto ai processi industriali, al traffico veicolare e ad altre attività antropiche aumenta la piovosità, fino ad un certo livello di inquinamento, oltre tale livello la diminuisce.

Perciò anche le più piccole particelle di elementi inquinanti possono dare il via alla produzione di acqua piovana e scatenare tempeste anche distruttive.

In particolare gli eventi di pioggia estrema, che rappresentano il 5% degli eventi di pioggia totale, di solito sarebbero solo a livello locale ma una nuova ricerca rivela che esistono fenomeni globali anche riguardo a essi.

Questa scoperta potrebbe portare, tra l’altro, a delle previsioni migliori e più accurate, anche per capire gli attuali cambiamenti climatici.

Tali eventi locali sembrano collegarsi a grande distanza. Ad esempio un evento di pioggia estrema in Europa può essere collegato ad un evento simile in India senza che ci siano eventi simili nelle zone terrestri intermedie. La scoperta di collegamenti tra eventi di pioggia estremi in tutto il mondo potrebbe anche aiutare a capire le connessioni tra i diversi sistemi monsonici e gli eventi estremi al loro interno, sperando che si possa a lungo termine aiutare a prevedere le piogge estreme e le inondazioni e le frane associati nelle regioni più a rischio.

 

In conclusione queste particelle sono di solito prodotte dall’inquinamento industriale ed urbano oltre alle fonti naturali, sono un ennesima dimostrazione di come l'inquinamento continua a essere la più grande causa del mutamento e della distruzione del nostro mondo, attraverso dei cambiamenti che spesso non notiamo o di cui non ne consideriamo l'importanza, si sta facendo via via più estraneo sotto ai nostri occhi.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

16/02/2019

...E gli effetti dei cambiamenti climatici sugli animali?!

Purtroppo, ancora una volta, i primi a pagare le conseguenze del nostro comportamento sono gli animali. Ma questo non deve farci pensare che il problema non ci riguardi: tutto ciò che accade alla terra e ad ogni suo singolo abitante ha delle conseguenze anche su di noi.

Una di quelle forse meno conosciuta riguarda gli effetti di questi cambiamenti per le specie selvatiche.

La sopravvivenza degli animali dipende infatti da alcuni fattori fondamentali come temperatura, cibo e habitat, minacciati direttamente dal surriscaldamento del nostro pianeta.

Le principali condizioni in cui ritroviamo gli organismi sono :

  • Animali senza casa

È un pericolo anche per molte specie acquatiche. Non solo trote e salmoni, che hanno bisogno di vivere in acque molto fredde:l’allarme è anche sulla più grande barriera corallina del mondo, che ha subito danni senza precedenti e rischia di sparire per sempre , con drammatiche conseguenze per tutti i pesci e gli organismi acquatici che vi risiedono.

Diverse specie di animali e piante, per fuggire al riscaldamento del pianeta, stanno spostando i loro areali di distribuzione verso maggiori latitudini o altitudini. Succede per l’84% delle specie che vivono in ambienti aridi, come testimoniano alcuni studi. Ma per le specie d’alta quota non esistono vie di fuga.

  • Animali senza cuccioli

  • Animali senza cibo

Si parla spesso dell’inarrestabile scioglimento dei poli: questo fenomeno riduce il terreno di caccia degli orsi polari, portandoli lentamente a morire di fame.

Ma anche ad esempio le specie migratorie si trovano in difficoltà: al loro arrivo gli uccelli non trovano da mangiare dati i cambio di habitat degli insetti

Gli inverni troppo caldi inoltre rovinano le riserve di cibo che alcuni animali (come la ghiandaia) utilizzano per superare l’inverno.

Essi pertanto,privati delle loro risorse abituali dall’ innalzamento delle temperature e spinti dalla fame, potrebbero arrivare nelle zone urbane in cerca di cibo, con conseguenze potenzialmente molto pericolose.

 

 

La cosa più importante che il mondo può fare è mantenere l’aumento della temperatura globale al minimo facendo tutto il possibile per ridurre i gas serra nell’ atmosfera.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

29/01/2019

Fermare l'inquinamento da plastiche?

 

Ue, i prodotti monouso in plastica saranno vietati dal 2021.

 

Lo stabilisce un accordo negoziato a Bruxelles per salvaguardare l'inquinamento degli oceani.

Decisiva la previsione dell'esecutivo, secondo cui entro il 2050 la quantità di plastica nei mari sarà maggiore di quella dei pesci, se non si farà nulla per contrastare la tendenza.

Per questo Europarlamento e Consiglio hanno raggiunto un accordo sulla nuova misura con cui contrastare l'ulteriore diffusione dei dieci prodotti di plastica che rappresentano il 70% dell'inquinamento delle spiagge e degli oceani.

A essere vietati dal 2021 saranno alcuni prodotti rispetto ai quali esistono alternative: cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini per mescolare le bevande, bastoncini per i palloncini. Tutti questi prodotti dovranno essere fabbricati esclusivamente con materiali alternativi sostenibili.

Per gli imballaggi per alimenti l'obiettivo è ridurre il loro consumo: l'accordo fissa anche un obiettivo di raccolta delle bottiglie di plastica del 90% entro il 2029.

La direttiva, proposta dalla Commissione il 28 maggio scorso, ha avuto un iter molto rapido per gli standard della legislazione comunitaria, a dimostrazione dell'importanza e dell'urgenza di approvare il nuovo provvedimento.

Le nuove norme entreranno in vigore all'inizio del 2021. Gli Stati membri dovranno fissare obiettivi nazionali di riduzione, mettendo a disposizione prodotti alternativi presso i punti vendita, o impedendo che i prodotti di plastica monouso siano forniti gratuitamente.

Infine, sono previsti incentivi al settore industriale per lo sviluppo di alternative meno inquinanti.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

19/01/2019

 

 

 

 

 

Natale passato ma non tutti hanno fatto i buoni!

Al contrario di quel che si possa pensare, gli alberi finti inquinano molto più di quelli naturali, a causa della plastica e dei costi di trasporto.

La Coldiretti (Principale Organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo) ha esordito che hanno un impatto inquinante di 10 volte più di quelli veri.

Gli alberi di Natale artificiali sono fatti di cloruro di polivinile (PVC), un materiale plastico derivato dal petrolio che può contenere piombo o altre tossine dannose ed è notoriamente difficile se non impossibile da riciclare perché richiede attrezzature speciali.

Un albero alto circa 1,90 metri ha un'impronta di carbonio equivalente a circa 40 chili di emissioni di gas serra, pertanto ha un effetto più negativo di quello vero, peraltro utilizzabile dopo le feste come pellet per combustibile.

La Coldiretti sottolinea che un abete vero, se viene riciclato o coltivato in un vaso o in giardino, può avere emissioni trascurabili o addirittura negative. Nell'albero di plastica il problema è appunto la sua fabbricazione, che causa emissioni industriali derivanti dalla produzione dell'albero e la spedizione per lunghe distanze prima di arrivare al negozio.La maggioranza infatti, ha origine in Cina, a circa novemila chilometri di distanza dall'Italia, e compie un viaggio spesso a bordo di navi da carico alimentate a diesel, che emettono altri gas serra aggravando il riscaldamento del pianeta.

L'albero naturale di Natale trova spazio quest'anno nelle case di 3,6 milioni di famiglie per una spesa media di 33 euro, come conseguenza della tendenza dei consumatori ad acquistare degli abeti di varietà particolari ma anche più costose rispetto al più tradizionale abete rosso, secondo l'indagine Coldiretti/Ixe' dalla quale emerge anche che l'albero di Natale è irrinunciabile per l'81% delle famiglie italiane.

In concclusione passando su un piano più nazionale:

"Tutti i gruppi ambientalisti suggeriscono di usare un albero vero", sostiene Rick Dungey, portavoce della National Christmas Tree Association americana (e quindi parte in causa nella vicenda). "Il dibattito è chiuso: i soli che ancora discutono sono i venditori di alberi finti".

E sebbene siano riutilizzabili, gli alberi artificiali hanno comunque una vita media molto bassa. "In media una famiglia lo usa per cinque-sei anni, poi lo butta nella spazzatura", spiega Bill Ulfelder, direttore per lo Stato di New York dell'associazione ambientalista The Nature Conservancy. "Così l'albero finisce in discarica, e ci resta intatto, visto che non è biodegradabile".

Gli alberi veri, per contrasto, sono completamente riciclabili.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

09/01/2019

 

 

 

Clima, l'allarme dell'Iss: "Abbiamo solo 20 anni per salvare il pianeta"

Il presidente dell'Istituto superiore di Sanità, Walter Ricciardi: "E' il tempo che ci rimane per mettere in atto misure concrete.

Avviata in Polonia la Conferenza internazionale sul clima.

"Due generazioni, ovvero 20 anni, per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici e dagli effetti devastanti che questi avranno sulla salute dell'uomo e dei territori". A lanciare l'allarme è il presidente dell'Istituto superiore di Sanità, Walter Ricciardi: "E' questo il tempo che ci rimane per mettere in atto misure concrete. Già oggi le morti in Europa legate ai cambiamenti climatici sono migliaia l'anno, ma saranno milioni nel prossimo futuro".

Ricciardi ha spiegato che "si corre il serio rischio che i nostri nipoti non possano più stare all'aria aperta per gran parte dell'anno a causa dell'aumento delle temperature: il pericolo concreto è che le ondate di calore, che nel 2003 hanno fatto 70mila morti, possano passare da periodi limitati dell'anno a oltre 200 giorni l'anno in alcune parti del mondo".

Il fatto, ha avvertito, è che "i danni sulla salute dai cambiamenti climatici non sono visibili all'istante ma sono devastanti. Già attualmente, rileva Ricciardi, "l'Organizzazione mondiale della sanita' parla di 7 milioni di morti legate ai cambiamenti climatici ed in Italia ben il 12% dei ricoveri pediatrici in ospedale sono connessi all'inquinamento".

A Katowice si dal il via al Cop24

I 200 paesi riuniti in Polonia per cercare di mettere in atto l'accordo di Parigi devono "fare molto di più" per limitare gli impatti senza precedenti dei cambiamenti climatici. L'appello arriva dall'Onu nonostante un clima poco propizio alla riuscita dell'impresa ambiziosa.

La 24a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop24) si è aperta con l'allarme rosso recentemente pubblicato dall'IPCC, il gruppo di esperti su questi temi. L'impatto dei cambiamenti climatici non è mai stato maggiore", ha dichiarato Patricia Espinosa, responsabile per il Clima dell'Onu, come disastri meteorologici, impatto sulla salute o sui raccolti agricoli, livelli record di CO2.

Proprio quest'ultima, insieme alla presenza di altri gas serra nell'atmosfera terrestre porta a un aumento della temperatura dell'aria e dell'acqua, con il conseguente innalzamento del livello dei mari."Questo fenomeno non è costante, ma sta accelerando al ritmo di quasi un millimetro all'anno, tanto che l'Ingv dichiara: "A rischio inondazione 163 coste del Mediterraneo".

Una superficie costiera pari a circa 5,5 milioni di campi di calcio relativa a 163 coste del Mediterraneo è a rischio inondazione.Tra le aree minacciate figurano anche alcuni siti dell'Unesco.

Il rischio è reale per "pianure costiere, come l'area della laguna di Venezia, le Cinque Terre, le spiagge di Lipari, siti Unesco, che entro fine secolo potrebbero sparire o subire pesanti inondazioni".

 

Finanziato dalla Direzione generale per la Protezione civile e dagli aiuti umanitari dell'Unione Europea per il biennio 2017-2018, il progetto nasce dall'esigenza di preparare le popolazioni che vivono nelle aree costiere a fronteggiare possibili rischi legati all'innalzamento del livello dei mari.

 

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

Data di pubblicazione: 15/12/2018


Nati gemelli con DNA geneticamente modificato

Secondo Associated Press, in Cina sarebbero nati due gemelli con DNA modificato. A dichiararlo, He Jiankui, un ricercatore di Shenzen in esclusiva all'agenzia prima di un convegno sull'editing genetico.

 

L'annuncio non e' stato confermato in maniera indipendente ne' pubblicato su una rivista scientifica, ma se non è una bufala, si tratterebbe di un profondo salto sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista etico. Molti scienziati tradizionali pensano che sia troppo pericoloso tentare e alcuni hanno denunciato la relazione cinese come sperimentazione umana.

Lo scienziato cinese sostiene di aver creato i primi esseri umani geneticamente modificati al mondo. Si tratterebbe di due gemelle nate lo scorso mese, il cui DNA sarebbe stato modificato con un "nuovo potente strumento" in grado di riscrivere il codice genetico.

Uno scienziato statunitense asserisce di aver aver preso parte al lavoro in Cina, dove ha utilizzato una tecnica di genoma-editing vietata negli Usa. Grazie a questa metodica He Jiankui ha alterato gli embrioni di sette coppie in cura per problemi legati alla fertilità, con una gravidanza giunta a termine. Il suo obiettivo, ha ammesso, non era solo quello di curare o prevenire una malattia ereditaria, ma di provare a conferire un tratto che poche persone hanno naturalmente - una capacità di resistere alle possibili future infezioni da HIV, il virus dell'Aids.

Gli scienziati che hanno visionato le carte fornite dal genetista, attraverso l’Ap, spiegano che i test fatti sono insufficienti per dire che l’esperimento abbia funzionato e per essere certi che non ci saranno danni dovuti all’esperimento. Nessuno sa, infatti, che cosa potrebbe succedere dopo la modifica del DNA, che potrebbe essere trasmesso alle future generazioni.

 

Per il momento la notizia ha fatto solamente sollevare dubbi sulla presunta svolta, che per certi invece potrebbe essere una nuova forma di eugenetica. 

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

 

Data di pubblicazione: 03/12/2018


Spazio, la sonda Insight della Nasa è atterrata su Marte

Insight dopo sette mesi di viaggio interplanetario, è arrivata a destinazione divenendo il 15esimo veicolo a toccare il suolo marziano.

Il lander Insight della Nasa si prepara a catturare altri segreti del pianeta rosso, aiutato dalla tecnologia italiana, fornita da Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Istituto di Astrofisica (Inaf) e dall'industria, con Leonardo.A bordo ha infatti una serie di strumenti, compreso un sisimografo per misurare l'attività sismica e una trivella in grado di perforare il suolo marziano fino a 5 m di profondità.

 

La discesa di Insight è stata perfetta ed inoltre questa sonda USA apre la strada alle due successive missioni marziane: ExoMars 2020, missione dell’ESA a guida italiana scientifica e industriale e quella sempre statunitense Mars2020.

Sonda Insight
Sonda Insight

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

Data di pubblicazione: 30/11/2018


I SATELLITI “ITALIANI”

Sonda Cassini
Sonda Cassini

 

 

Durante la conferenza su "L'Italia nello spazio" tenutasi martedì 13/11 sono intervenuti Luigi Bussolino, Linda Raimondo (Fisica, UNITO) e Antonio Lo Campo (Giornalista, "La Stampa").

 

 

Luigi Bussolino

 

Luigi Bussolino è un ingegnere aeronautico la cui esperienza, acquisita nella gestione del sistema spaziale, divenne utile per lo studio delle nuove missioni dedicate all’esplorazione di nuovi pianeti come Marte e Venere e per studi di altri progetti.

 

L' ingegnere fu coinvolto come progettista nella costruzione di vettori e moduli spaziali.

 

Oggetti spaziali!?

 

In astronautica, il vettore o lanciatore è un missile usato per inviare nello spazio un certo carico utile che può consistere in astronauti, satelliti, sonde interplanetarie, moduli di rifornimento per le basi spaziali orbitanti.

 

Questo tipo di motore può essere a propellente solido o liquido.

 

Un razzo a combustibile solido è un razzo con un motore che impiega un propellente solido (carburante/ossidante).

 

Al contrario un razzo a propellente liquido è un razzo con un motore che impiega propellenti in forma liquida.

 

Con il termine satellite artificiale si possono intendere tutti gli oggetti orbitanti intorno ad un corpo celeste che sono stati posti volutamente nell'orbita desiderata con mezzi tecnologici (ad esempio razzi vettori) e con varie finalità a supporto di necessità umane.

 

 

 

Bussolino ci ha elencato i vari interventi italiani nel lancio e nella costruzione di satelliti e vettori.

 

Il Progetto San Marco fu il programma di collaborazione bilaterale che vide impegnati Italia e Stati Uniti. Il progetto segnò l'inizio dell'era spaziale italiana: infatti, il lancio del San Marco 1 il 15 dicembre 1964 dalla piattaforma santa Rita in Kenia , portò l'Italia ad essere la quinta nazione a progettare e mettere in orbita un satellite artificiale.

 

SIRIO è il primo satellite artificiale ad essere progettato e costruito in Italia, lanciato nel 1977 da una base statunitense.

 

L'Italia partecipò nella costruzione della sonda Giotto che ha attraversato la coda della cometa di Halley.

 

La sonda Cassini comunica alla Terra grazie a un’antenna di quattro metri di diametro che è stata fornita dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana). Ciò validò l'IItalia che fu autorizzata a creare alcuni moduli, ossia pezzi componenti le stazioni spaziali.

 

Anche il lanciatore Vega fu fatto al 70% dall'Italia.

 

L'Italia pertanto detiene una prestigiosa storia nell'areonautica ed infatti possiede il 14% delle quotazioni dell'ESA( Agenzia Spaziale Europea).

 

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

Data di pubblicazione: 21/11/2018


Come il microbiota e i probiotici ci influenzano  (in bene)

Appetito, stress, umore mutevole?E se a influenzarli fossero dei batteri che abitano nel nostro corpo?

I batteri che vivono in simbiosi con il nostro organismo (il microbiota) , sembra che siano in grado di modificare il nostro comportamento. Alcuni, per esempio, migliorano l’umore: ci fanno sentire in salute e quindi più tranquilli. Altri, invece, portano i bambini a piangere e a “pretendere” più cibo. E sembra che alcuni addirittura ci spingano a mangiare quello che a loro piace di più.

Il nostro apparato intestinale contiene circa migliaia di miliardi di batteri, indispensabili per il suo funzionamento.

I batteri a loro volta ci utilizzano come fornitori di cibo, costituendo un vero e proprio ecosistema molto complesso, con moltissime specie che interagiscono. Essi cercano di rendere più “confortevole” per loro il nostro corpo, attuando diverse azioni, per esempio, inviando messaggi chimici al cervello.

Restano da indagare gli effetti e i meccanismi nell' organismo.

Un test condotto sulla base di diete arricchite di specifici batteri ha diminuito, negli adulti sani che vi partecipavano, le reazioni alle emozioni negative e i pensieri aggressivi. Non si è ancora certi che le sostanze prodotte dai batteri colpiscano direttamente il cervello: l’effetto, affermano gli scienziati, potrebbe essere dovuto a una migliorata funzione intestinale.

Il campo è pionieristico, quindi gran parte degli esperimenti per ora sono stati fatti su topi. E hanno rivelato vari effetti. Persino topi con sintomi simili a una malattia molto grave nell’uomo, l’autismo, hanno migliorato il loro comportamento dopo essersi nutriti di un batterio particolare (Bacteroides fragilis) che si era notato essere più raro nei bambini autistici.

Alcuni studiosi pensano addirittura che certe specie di batteri siano capaci di indurci a mangiare quello che loro desiderano.

Per esempio quando nell’intestino dei bambini piccoli aumentano i proteobatteri e diminuiscono i Bacteroidetes, i neonati piangono molto di più per le coliche: in questo modo forse finiscono per ottenere più cibo, che va a finire a disposizione dei microrganismi. E sempre nei bimbi piccoli, uno studio ha mostrato che coliche e pianto diminuiscono con l’assunzione di Lactobacillus reuteri: un altro cosiddetto “probiotico”, cioè un organismo benefico per la salute, che colonizza il nostro tratto digerente.

Non è ancora del tutto chiaro quali metodi usino i batteri per indurci a fare certe cose, ma si sa che alcuni emettono tossine che danneggiano la superficie dell’intestino a contatto con il cibo, aumentando i segnali di dolore e di fame.

Il modo migliore per avere un microbiota ricco e sano è aumentare la biodiversità con i probiotici, come i lattobacilli dei latti fermentati. In generale, in questo modo nel nostro apparato digerente si forma un sistema più completo e non dominato da pochi organismi aggressivi.

Resta ancora molto da chiarire.....Purtroppo capiamo solo parte della complessa ecologia del microbiota, e al momento è futile, o potrebbe essere pericoloso, tentare di cambiarlo, come propongono alcuni, con organismi geneticamente modificati.

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

Data di pubblicazione: 9/11/2018


Scoperto un lago di acqua liquida su Marte

L'acqua, la cui presenza sulla Terra è sinonimo di vita, è stata trovata per la prima volta allo stato liquido sul Pianeta rosso.

Ad individuare il lago, stabile da molto tempo, è stato il radar Marsis della sonda Mars Express dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). Come il radar Marsis, ideato da Giovanni Picardi dell'università Sapienza di Roma, sono italiani tutti gli autori della ricerca.

Ad un chilometro e mezzo sotto i ghiacci del Polo Sud di Marte c'è un grande lago di acqua liquida e salata, con un diametro di 20 chilometri, probabilmente profondo qualche metro, con una forma vagamente triangolare 

 Esiste da molto tempo, ed è protetto dai raggi cosmici: questi, dicono gli autori della ricerca, sono elementi che potrebbero far pensare anche a una nicchia biologica.

Arriva finalmente la risposta alla domanda che dal 1976 avevano sollevato le missioni Viking della Nasa: i loro dati indicavano con chiarezza che in passato Marte aveva avuto laghi, fiumi e mari, ma finora non si sapeva che fine avesse fatto tutta quell'acqua.

I dati raccolti dal radar Marsis fra maggio 2012 e dicembre 2015 mostrano che si tratta di una massa d'acqua stabile. Il grande lago buio e salato del Polo Sud potrebbe non essere l'unico: secondo i ricercatori potrebbero essercene altri e, adesso che sanno come cercarli, continueranno a farlo.

 

La scoperta di un lago di acqua liquida nel sottosuolo di Marte "è una delle più importanti degli ultimi anni": lo ha detto il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Roberto Battiston. "Sono decenni che il sistema spaziale italiano è impegnato nelle ricerche su Marte insieme a Esa e Nasa. I risultati di Marsis - ha rilevato Battiston - confermano l'eccellenza dei nostri scienziati e della nostra tecnologia e sono un'ulteriore riprova dell'importanza della missione europea a leadership italiana ExoMars, che nel 2020 arriverà sul pianeta rosso alla ricerca di tracce di vita".

 

di Aurora Campi, 5^N - Chimica, Materiali e biotecnologie ambientali

Data di pubblicazione: 29/10/2018